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E’ di questi giorni la notizia che la piattaforma georeferenziata Ushahidi è stata usata ancora una volta in Italia per raccogliere informazioni e rappresentare su una mappa i disagi provocati dalle ultime intense nevicate.

Lo hanno fatto sia Emergenza Neve (qui), sia Anpas – l’Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze (qui).

Grazie a una crowdmap interattiva, i cittadini hanno potuto segnalare la situazione della viabilità, dei servizi pubblici, dei trasporti pubblici, delle emergenze e dell’impegno di enti locali e ufficiali (nel caso di Emergenza neve) e degli interventi apportati (nel caso dell’Anpas). In questo modo altri cittadini hanno potuto avere informazioni in tempo reale, spesso prima di quelle fornite dagli organi ufficiali. Esattamente come succede recentemente con Twitter nei confronti dell’informazione ufficiale.

Peccato che queste informazioni, a parità di piattaforma, non possano essere integrate tra loro. Segno che forse nel nostro paese, la collaborazione tra istituzioni, non è come quella di cittadini e volontari.

E’ vero che la crowd è dappertutto, è vero che Ushaihidi è nata per unire gli sforzi, ma non dare un riferimento certo all’impegno dei cittadini è sicuramente uno spreco. E non solo di intenzioni.


Prima di approfondire il discorso, un video per capire cos’è Ushahidi e poi, la sua storia.

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Ushahidi, che in Swahili vuol dire “testimonianza”, è una piattaforma nata per mappare gli episodi di violenza in Kenya a seguito della crisi politica post-elettorale all’inizio del 2008 (qui si parla di quello che è successo).

Fu creata in quel periodo da Ushahidi, Inc. una non-profit company che decise di sviluppare un software free e open source per raccogliere informazioni e visualizzare in una mappa (Google Maps) quello che stava accadendo nel paese grazie all’aiuto dei cittadini. SMS, MMS, PC i mezzi per testimoniare; un’unico aggregatore per raccogliere le informazioni.

Il progetto, nato dalla collaborazione di alcuni blogger e citizen journalist kenioti capitanati dall’attivista e avvocatessa keniota Ory Okolloh, fu realizzato in uno dei periodi più bui della storia del Paese africano. Tutti i nomi del team di Ushahidi e le biografie sono qui. Il sito fu usato per geolocalizzare e monitorare gli episodi di violenza con l’obiettivo di facilitare il lavoro dei soccoritori e delle organizzazioni pacifiste.

Dall’articolo su Il Post di Giovanni Fontana del 16 agosto 2010 (qui), il racconto di Ory:

Nella prima settimana di violenze post-elettorali tutti provavamo a documentare sui nostri blog quello che stava succedendo, e in un post qualcuno evidenziò il possibile uso che si poteva fare di Google Maps per mappare ciascuno degli incidenti che stavano avvenendo. Perciò io pensai “già, dobbiamo farne qualcosa di questa idea”: stavamo cercando soluzioni tecnologiche per ovviare alle inefficienze dei commenti – quella sembrò una buona risposta”.

La piattaforma fu utilizzata da 45,000 cittadini in Kenya e il successo dell’operazione fece percepire al team la necessità di una piattaforma standard che potesse essere utilizzata anche da altri nel mondo.
Il sito della crisi kenyota è ancora online, potete vederlo qui o cliccando sull’immagine.

Da allora la piattaforma, grazie a donazioni private ricevute tramite il sito (e a quelle di Humanity Unitedqui l’approfondimento), è cresciuta nel suo sviluppo, è diventata anche un App mobile per Android e iOS ed è stata utilizzata in diversi altri casi.

Nel 2008 è stata utilizzata per tracciare le violenze contro gli immigrati in Sud Africa, poi (sempre per tracciare violenze) in Congo Est, in Kenya, in Malawi, Uganda e Zambia.
Nel 2009 per documentare l’assenza di medicinali in diversi paesi africani, per monitorare le elezioni in Messico e India, ma anche da Al Jazeera per raccogliere testimonianze durante i disordini di Gaza.
Nel 2010 fu l’anno dell’uso dopo il terremoto in Haiti e in Cile, le tempeste di neve a Washington D.C. e gli incendi in Russia. Lo scopo principale di Ushahidi è sempre quello dell’inizio: raccogliere informazioni per aiutare i soccorsi, come successe poi nel 2011 per il terremoto in Nuova Zelanda, per le alluvioni in Australia, in Missouri, nel Veneto, in Liguria e per l’emergenza neve nei Balcani e in Italia, pochi giorni fa e argomento di questo posto, nel 2012.

Ma Ushaidi non è solo una piattaforma per documentare tragedie umanitarie, in India è stata usata per mappare la qualità del segnale 3G e degli hotspot Wi-Fi e in Russia come provocazione anti-corruzione (qui l’articolo da Apogeo Online se volete saperne di più).

Speriamo di non dover usare spesso la piattaforma Ushahidi, ma sicuro è che il lavoro del Team, in alcuni casi diventa fondamentale. Per chi vuole rimanere informato sulle loro attività c’è il blog ufficiale (qui).

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Grazie a Alessio Baù e a Pietro Pannone per la segnalazione (via Like di Hagakure).
Foto in apertura © Viva Zoom via Viaggi News.
Foto dell’applicazione mobile di Whiteafrican da Flickr.
Altre immagini dai siti di Emergenza Neve, Anpas e Ushahidi.org.
Fonte per l’uso post 2008 di Ushahidi: Wikipedia.

Ogni giorno milioni di persone nel mondo condividono decine di milioni di contenuti attraverso Internet e i social media. Pubblicano post, foto, video, canzoni, notizie, tweet, link. Commentano, ri-condividono e ri-twittano aggiungendo qualcosa in più.

Ma sempre più spesso le persone si trovano a documentare anche cosa accade attorno a loro e a raccontare in rete notizie viste attraverso gli occhi di chi le sta vivendo in quel momento, dall’esplosione di una centrale nucleare all’inquinamento del fiumiciattolo dietro casa.
E’ così che è nato il giornalismo partecipativo, un mondo fatto di micro-notizie e un nuovo modo di fare informazione grazie a Internet e agli smartphone. Un tipo di giornalismo che nasce dal basso, dove l’utente è attivo, si dà da fare, denuncia, fotografa, filma, scrive e dimentica il ruolo di fruitore di informazioni del TG della sera.

Spesso queste notizie arrivano prima ai cittadini rispetto ai media ufficiali. Spesso ovviano alla censura nei paesi meno liberi.
Tutti ricordiamo l’inconsapevole live tweeting da Abbottabad di Sohaib Athar (@ReallyVirtual su Twitter) mentre si stava svolgendo il raid per la cattura di Bin Laden ripreso poi dalle TV di tutto il mondo o il ruolo che hanno avuto i social network nell’informazione libera durante le rivolte in Iran per le elezioni del 2009 (soprattutto grazie a Facebook e YouTube) o nella recente primavera araba (definita da molti la “Twitter revolution”).
Questo enorme flusso di news e di micro-notizie corre però il rischio di diventare immediatamente invisibile, sovrastato e stratificato da continui aggiornamenti a meno che non si segua con tempestività l’hashtag giusto.

Come si può trasformare questa disomogenea fonte di informazioni in un’unica storia da raccontare? Come si può facilmente creare una narrativa raccogliendo tra una miriade di informazioni diffuse quelle più significative? Pensate a quanta fatica sarà costata il copia/incolla raccolto qui da Mike Butcher su Tech Crunch Europe del già citato live tweeting da Abbottabad.

Con questo in mente, Burt Herman ex reporter “classico” presso l’Associated Press, ha dato vita a Storify, un servizio e un tool che permette di raccontare una unica grande storia utilizzando Internet e i social media.
L’autore di ogni storia (utilizzando il servizio esattamente come fa il curatore di una mostra, di una pubblicazione o di una rubrica giornalistica di approfondimento), può raccoglierne le parti attingendo dai contenuti pubblicati nel web, nei blog e nei social media come Twitter, Facebook, YouTube, Instagram, Flickr e pubblicarla nel suo complesso embeddandola nel proprio sito/blog o pubblicandola su Storify.

Guardate come è facile:

Inizialmente il sistema era stato creato ad uso delle testate giornalistiche ed è stato usato in forma di test dal Washington Post, il New York Times, il Wall Street Journal, la BBC, l’Huffington Post e anche da Al Jazeera (che ha creato anche il talk show “The Stream”, basato sul punto di vista dei citizen journalist utilizzando Storify). Dalla fine del 2010 il sistema è stato aperto a chiunque e attorno a Storify si è venuta a creare una community non solo di giornalisti.
Per saperne di più sulla storia e le origini di Storify c’è l’ottimo articolo di Raffaella Menichini su Repubblica.it (qui).

I motivi per utilizzare Storify sono tanti – come gli usi che se ne possono fare – dal giornalismo tout court come  la storia di Colleen Kelly sulle proteste a seguito alle elezioni in Russia (qui) che è in home page in questo momento o quella di Craig Silverman sulle fasi della cattura e della morte di Gheddafi (qui), il mio amico Marco Massarotto per esempio ha raccontato la storia dell’Hotel che frequenta quando va a Roma (qui). Voi come lo userete?

Quello che più mi piace di Storify è come informazioni diffuse – a volte anche personali e pubblicate da persone che non si conoscono – possano incontrarsi per realizzare un progetto partecipativo di storytelling. Ovviamente curato da un autore che sa dove vuole arrivare.

Le mie storie le trovate qui. Il mio primo test, il racconto di una partita di calcio, è qui.